Tutti dovrebbero avere un Alberto e Giovanni vicino a dove vivono. Perché così tutti avrebbero la fortuna di assaggiare frutti dal gusto unico e irripetibile, ma purtroppo dimenticato.
I frutti coltivati alle Vigne del Grillo, così si chiama l’azienda di Alberto Billi e Giovanni Casini, sono frutti dalle origini antiche, quasi tutti caduti in disuso e oggi coltivati solo da pochi, da chi come loro li conosce, li cura e ne custodisce le tracce e la memoria, proteggendoli da una possibile scomparsa.
Scovare Alberto e Giovanni non è stato semplice. Ho conosciuto prima il loro ottimo vino, in un ristorante della zona, e poi sono andata ad incontrarli. Le Vigne del Grillo sono un’isola di biodiversità sulle pendici collinari ai piedi del Monte Prana alla Pieve di Camaiore. Una terra che respira sia l’aria del mare versiliese che quella delle Alpi Apuane.
Appena arrivata Alberto, che è l’esperto in materia di frutti, mi ha invitato a raggiungerlo nel campo. Stavano raccogliendo le albicocche Paviot, dalla buccia arancio e vellutata e dalla polpa chiara e profumata. Una vera delizia! Da quel primo assaggio, nonostante facesse molto caldo e le pendici della loro terra siano a tratti davvero impervie da percorrere, ho deciso che difficilmente si sarebbero liberati di me.
E così è stato. Ogni tanto vado a trovarli e mi perdo insieme ad Alberto nel frutteto, io assaggio e lui racconta da dove proviene quel frutto, perché si chiama così e quali sono le caratteristiche che lo rendono particolare. Poi insieme a Giovanni prepariamo delle cassette, aggiungiamo degli ortaggi, delle uova e delle confetture o del miele.
COLTIVARE FRUTTI ANTICHI
Dopo più di un anno che ci frequentiamo, intervistare oggi Alberto per InOrto è stato del tutto naturale.
Cosa è che spinge a intraprendere strade complicate e poco redditizie come quella di coltivare frutti di difficile commercializzazione?
“E’ banale da dirsi ma la molla principale è la passione. Deve piacere la ricerca di varietà insolite e scoprire sapori del tutto inaspettati. Inizialmente avevamo 110 varietà di frutti maggiori oggi siamo arrivati a 230 e non credo ci fermeremo. Coltiviamo principalmente Pomacee e Drupacee, per intendersi le prime sono quelle che hanno il torsolo e le seconde hanno il nocciolo. A queste si aggiungono molte varietà di fichi, fragole e ortaggi vari coltivati nel nostro orto sinergico”.
Di tutte le varietà presenti nella loro proprietà, Alberto e Giovanni stanno provando a fare un censimento mappale, un lavoro certosino che solo persone precise e meticolose come loro possono pensare di portare a termine. E’ però indispensabile ai fini di una corretta catalogazione, perché anche se gli alberi sono tutti cartellinati e loro ne conoscono a memoria la posizione, mettere tutto su carta ne garantisce una schedatura certa, sicura e inequivocabile.
“Siamo Coltivatori Custodi – continua Alberto – un albo in cui la Regione Toscana inserisce chi coltiva, mantiene e propaga le varietà a rischio di erosione genetica. Una buona iniziativa regionale, la cui normativa è stata presa a modello per tutta l’Italia. Rivestendo questo ruolo abbiamo diritto a una sovvenzione, un piccolissimo contributo per ogni pianta coltivata, e all’aiuto di un ispettore della Regione Toscana che ci controlla e ci indirizza”
Un incentivo d’incoraggiamento, più che di supporto, ma meglio di niente tutto fa, quando si è scelto di guardare più alla qualità che al reddito.
“I nostri frutti sono tutti innestati su selvatici e entrano in produzione dopo 6 e 7 anni. Hanno tutti potature personalizzate e un sesto d’impianto di 5 metri per 5 metri. La produzione industriale innesta su varietà deboli che producono dopo 2 anni e in quantità maggiori, ma dopo 6 anni vanno sostituiti. I sesti d’impianto sono vicinissimi per consentire potature e trattamenti meccanizzati. L’esatto contrario di quello che facciamo noi che in quanto custodi abbiamo l’obbligo di coltivare in biologico ”.
COLTIVARE IN MODO NATURALE
Ma quali sono i vantaggi di coltivare così tante varietà con metodi naturali e non chimici?
“La conservazione della biodiversità. Frutti dal sapore ottimo e diversificato, con un contenuto di valori nutraceutici superiori a quelli contenuti nella frutta coltivata in monocoltura e su vasta scala. Coltivare biodiversità significa coltivare il futuro”.
La biodiversità e i frutti antichi, non sono tematiche per nostalgici, ma piuttosto la nostra porta per il futuro. Se una varietà sparisce lo farà per sempre e magari quei geni andati perduti potrebbero essere utili in futuro perché resistenti a malattie e a cambiamenti climatici. Maggiore è la biodiversità e maggiore sarà la nostra resilienza di fronte alle crisi. Inoltre scomparsa significa perdita di saperi, sapori e cultura.
“Noi coltiviamo con assenza di trattamenti e concimi chimici. Col tempo otteniamo alberi più resistenti alle malattie e frutti che aiutano la nostra salute. In questo siamo facilitati anche dal fatto che le nostre colline sono circondate da boschi, che fanno da cuscinetto e impediscono la diffusione di malattie e insetti. Inoltre godiamo di una posizione soleggiata e ventilata con forti escursioni termiche durante la notte. Coltivare tante tipologie di alberi e vegetali è più facile: le varietà diverse si aiutano a vicenda e impediscono il diffondersi di agenti patogeni. E’ molto più problematica la monocoltura che necessita di trattamenti continui”.
Quali tecniche di coltivazione usate per aiutare gli alberi a mantenersi sani?
“Alleviamo quasi tutti gli alberi con la forma a vaso, perché facilita la ventilazione e la produzione, tuttavia, essendo curiosi, stiamo sperimentando anche qualche coltivazione a spalliera. E’ importante che il porta innesti sia vigoroso e che ciascun albero abbia il proprio spazio, in modo da potere sviluppare bene il proprio apparato radicale che deve essere grande quanto la chioma. Con questi accorgimenti possiamo limitare le irrigazioni ai primi due anni”.
POTATURE E TRATTAMENTI
E per le potature come vi comportate?
“Le potature devono essere strettamente limitate, perché sono sempre un trauma per la pianta. Generalmente ne facciamo due l’anno. La prima è una potatura a secco quando la pianta va in riposo, a gennaio per i meli e a febbraio per le drupacee, quando si vedono meglio le gemme fruttifere. La seconda è una potatura a verde e viene fatta in estate, a luglio-agosto, per togliere i succhioni e ripulire la pianta dai rami che crescono in modo sbagliato, magari incastrati con altri. In questo periodo le ferite arrecate dai tagli si rimarginano facilmente”.
Inoltre Alberto e Giovanni per facilitare la raccolta mettono dei piccoli tiranti ai rami degli alberi da frutto in modo da guidarne la direzione e l’abbassamento. Un buon metodo per ottenere l’effetto desiderato senza dovere potare troppo la pianta!
Parliamo adesso dei trattamenti di prevenzione o curativi per evitare che i frutti vengano attaccati dai funghi o da altri patogeni…
“Facciamo due trattamenti in inverno con la poltiglia bordolese. Il primo quando sono cadute la metà delle foglie, il secondo quando saranno cadute del tutto. Usiamo anche la propoli, che è un buon corroborante e un anti-fungino e può essere usata anche quando gli alberi sono in fioritura, perché non disturba gli insetti impollinatori. Sempre in primavera, se è necessario, usiamo lo zolfo bagnabile o ventilato contro la monilia e la bolla del pesco. Lo zolfo è un rimedio preventivo, ma a dosi massicce diventa curativo. Un buon sistema per combattere gli insetti dannosi è l’impiego dei loro antagonisti: coccinelle e forbicine sono importanti contro pidocchi e afidi”.
Niente concimazioni?
“Diamo solo della pollina, di cui disponiamo in quantità, perché tra le tante cose alleviamo anche oche e polli. La distribuiamo sotto la chioma degli alberi in ottobre prima che vadano a riposo e ai meli dopo che è stato effettuato il raccolto. La spargiamo semplicemente sul terreno e la ricopriamo con lo sfalcio dell’erba. Mentre gli agrumi li aiutiamo con delle cornunghia. Tutto qui”.
VARIETA’ DIMENTICATE
Quali sono le varietà di cui vai più fiero?
“Il fico gentilino di Campo all’Orzo oppure la pesca Birindella di Camaiore, che sono strettamente locali. Ma apprezzo anche la mela di Decio che si conserva fino a Maggio o la pera del Curato, che ha una riga longitudinale e che è ormai naturalizzata in Toscana. Bellissimo è anche il fico Popone dell’Elba, grande e con la buccia striata. La ciliegia Marchiana della Garfagnana e tra i susini la Coscia di Monaca. Molto buona è anche la susina Goccia d’oro, ma non si può parlare di frutto antico, piuttosto di ‘modernariato’. C’è differenza tra frutti la cui origine risale al massimo a 100 anni fa e quelli che sono stati tramandati nei secoli”.
Alberto guarda l’orologio e capisco che è arrivato il momento di andare a raccogliere. E alle Vigne del Grillo raccogliere richiede tempo e dedizione: ogni volta è una scoperta!
Se passate da Camaiore e siete tipi curiosi in cerca di prodotti genuini, ma anche di piccole piante di alberi da frutto (Alberto e Giovanni hanno anche un piccolissimo vivaio) vi consiglio una visita su appuntamento alla loro Azienda. Troverete una calda ospitalità e una gentile accoglienza e soprattutto potrete fare scorta di saperi e sapori.
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