Mai come in questo momento chi ha un fazzoletto di terra è fortunato! Non tanto perché può ricavarvi qualcosa da mangiare, che pure è molto, ma perché può trarne grande conforto.
Stare in mezzo alle piante, godere di qualche raggio di sole, occuparsi del giardino, raccogliere qualche fiore, coltivare il proprio cibo è un privilegio enorme sempre. Oggi lo è ancora di più.
L’altra attività che ci è di grande aiuto in tempi di Coronavirus è la lettura. Costretti a una mobilità ridotta, intorno casa se non addirittura in casa, leggere è diventato un passatempo formidabile, oltre che momento di riflessione e raccoglimento. C’è chi lo fa esclusivamente on-line, ma per chi come me ama il fruscio delle pagine, la presenza del libro ‘in carta e inchiostro’, vicino al letto o dovunque si decida di approfittare della sua compagnia, è sicuramente un piacere impagabile.
Per unire terra e lettura ho pensato a un libro terminato da poco, che mi ha fornito molti spunti di riflessione: “La Raccontadina – racconti a passo di vanga” di Francesca Pachetti, edizioni Pentàgora.
Sulla copertina appare un’altra frase che mi è piaciuta subito molto: “Prima di coltivare sogni impara a zappare”. Tuttavia non credo che il titolo e sottotitolo rendano esattamente l’idea di ciò che questo libro contiene e racconta. Detto così potrebbe sembrare una lettura per pochi, destinato soltanto a contadini incalliti o ortisti impenitenti, e sicuramente questi lo apprezzeranno di più, ma invece reputo che la sua lettura dovrebbe essere consigliata a tutti coloro che pensano che la terra e il rapporto con essa, necessiti proprio di una nuova lettura e interpretazione. E non si tratta solo di terra come luogo destinato alla coltivazione, ma anche luogo ‘altro’, dove sacro e profano vanno a braccetto, dove gesti, parole, relazioni, ricordi, assumono contorni talvolta inediti. Niente di pretestuoso o finto, non si addice a questo libro il cui mantra è “non sono alternativa, sono nata contadina”, solo tante piccole semplici verità.
Un libriccino, piccino picciò, che racconta storie di terra e di vita, di come coltivare l’una e l’altra. A metà tra narrativa e poesia, Francesca Pachetti utilizza frasi brevi per mettere a fuoco piccoli atti quotidiani e punta lo sguardo su azioni solo all’apparenza banali, ma che se osservate con attenzione nascondono piccole perle di saggezza. Come nel caso del ‘rammendare’, atto che appartiene al mondo antico dei contadini, che Francesca accosta al ‘rammentare’. “Di come due parti non più unite possono inventarsi un nuovo filo per tornare vicine”.
Le quattro stagioni, fungono da contenitore e raccolgono riflessioni scaturite durante l’inverno, la primavera, l’estate e l’autunno. Racconti che invitano alla cura e all’attenzione, che misurano il tempo in raccolti, che spiegano come sul campo si sperimenta la gentilezza e si sviluppa una percezione sincera.
In questo libro c’è tutta la poesia e la fatica di fare la contadina. La gioia, ma anche la pelle che tira e la testa che gira. C’è tutta la crudeltà, ma anche la dolcezza. “Ci vuole tempo per conoscere una terra, un sistema e una persona…conosco la mia terra e ogni terra è a sé” dice Francesca, la terra non sporca ma pulisce: “La terra ti lascia pulito, leva tutto, anche le parole in più”. Acuisce i pensieri e prosciuga l’inutile: “…credo che la distanza che ha messo l’uomo tra sé e la vita naturale abbia lasciato ampio spazio di entrata a tutto quello che non serve e non ci serve”.
Al termine di questa lettura scopriremo che ciò che per tanto tempo è stato normale e ordinario oggi suona come alternativo, ma “non sono alternativa, sono nata contadina”.
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