A Pietrasanta la Food Forest che rispetta le erbe spontanee
In Versilia c’è un ‘bosco che alimenta’ che si basa sulla cooperazione tra le piante, dove si impara a comprendere l’utilità e la bellezza delle ‘erbacce’
Dovremo dunque iniziare ad avere rispetto assoluto per queste amiche della fertilità dei suoli. Alla Food Forest di Pietrasanta sono tra gli elementi determinanti del progetto “Un bosco che alimenta” ideato e realizzato dalla “Associazione Luogo Comune” nata per ricostituire una nuova idea di comunità, aperta sia alle realtà associative presenti sul territorio che ai singoli cittadini per conoscersi e scambiare saperi e opinioni.
Alla base di un bosco giardino edibile c’è la cooperazione tra le piante, ed è questo che rende produttiva e autosufficiente una foresta. “Nei boschi edibili, alberi da frutto e cespugli eduli, erbe aromatiche e ortaggi crescono insieme su livelli diversi…un sistema così costituito ha una resa più elevata rispetto a un frutteto monoculturale della stessa grandezza, sia perché la biodiversità favorisce la salute delle piante, sia perché l’uso del sole è massimizzato dalla posizione strategica delle piante in modo che mettano le foglie in momenti diversi dell’anno”.
“In questo pezzo di terra messo a disposizione dal Comune di Pietrasanta, collocato tra piccoli condomini e una scuola materna, si è sperimentato per ben sette anni” – racconta Stefania Brandinelli, tra le promotrici del progetto – “all’inizio l’entusiasmo era alto e la partecipazione più unanime, ma anche dopo quando le forze si sono ridotte, questo piccolo ecosistema è riuscito a andare avanti da solo e a rigenerarsi autonomamente nonostante i nostri interventi si siano fatti a mano a mano sempre più esigui”.
Moltissime sono le piante presenti. Tra gli alberi più grandi ci sono i pioppi e poi una folta schiera di alberi da frutto: un giuggiolo, un melograno, un sorbo, un fico, un pesco, un pero cotogno, meli, corbezzoli, nespoli, prugnoli, susini e tante varietà di salici, per fare cesti e canestri. E poi ancora uva, lamponi, fragole, topinambur. E negli anni passati anche pomodori, zucche e piante da orto.
Il prossimo anno, trascorsi sette anni, scadrà la concessione comunale e il futuro di questo pezzo di terra è in bilico: la stanchezza di chi se ne è preso cura a lungo si fa sentire e sembra arrivato il momento di un passaggio di mano. Forse il quartiere lo adotterà e questo giardino sperimentale troverà nuova linfa o forse nuove energie spunteranno fuori come ‘erbacce’. Una cosa è certa la resilienza è una caratteristica fondante di questo bosco, che solo dopo un mese dalla sua inaugurazione fu investito da un fortunale impetuoso che causò la caduta di 10mila alberi su tutta la costa. Anche ‘lui’ subì ingenti danni, ma si è ripreso e fa di tutto per resistere, ieri ai venti forti oggi alla siccità.
Questi giardini che, secondo il pensiero del paesaggista Gilles Clèment, seguono il flusso naturale dei vegetali, che si inscrivono nella corrente biologica che anima il luogo e la orientano, che non considerano una pianta un oggetto finito, che non la isolano dal contesto che le fa esistere, meritano una lunga lunga vita. Perché “giardini di questo tipo non dovrebbero essere giudicati sulla base della loro forma ma piuttosto sulla base della loro capacità di tradurre una certa felicità di esistere”.
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