Quando siamo piccoli tutte le piante sembrano enormi. Ma il giuggiolo (Ziziphus jujuba) che fronteggiava la casa della ‘nonna del Poggetto’ (così la chiamavamo noi cuginetti) era davvero di dimensioni notevoli. Ero piccola ma già ghiotta di giuggiole, ma non potendo raccoglierle, dovevo sperare che i più grandi si ricordassero di me.
Era un giuggiolo vigoroso e in salute, di cui mai nessuno si curava, fino a quando, a fine estate, le giuggiole mature attiravano le attenzioni di adulti e bambini. Per esperienza personale, posso dunque dire, che è una pianta che richiede poco o niente, si adatta bene anche ai terreni poveri e alle esposizioni ventose: il ‘Poggetto’ era esposto ai quattro venti.
E’ senza dubbio un frutto di altri tempi, oggi davvero poco utilizzato, ma che vale la pena di riscoprire per la facilità di coltivazione, per la bellezza della sua chioma e la bontà dei frutti.
COLTIVAZIONE
Il giuggiolo ama i climi temperati, anche se in inverno può sopportare temperature sotto lo zero (fino a circa -15°). Predilige le posizioni soleggiate e si adatta a qualsiasi tipo di terreno, pur preferendo quelli profondi, senza ristagni di acqua e non eccessivamente calcarei. E’ una pianta longeva che se coltivata in buona posizione può vivere veramente a lungo.
Per questo cresce selvatico nelle zone dove il clima è mite, in riva ai laghi, nelle colline esposte a Sud o sulle coste marine. Ha rami spinosi e appartiene alla famiglia delle Rhamnacee.
Come molti alberi da frutto si impianta a fine inverno, ma se viviamo in zone temperate possiamo metterlo a dimora anche in autunno. Basterà scavare una buca ampia, almeno 50×50, ma possibilmente anche più grande, e arricchire la terra con dello stallatico maturo, del compost o dell’humus di lombrico, giusto per garantire una maggiore energia iniziale alla giovane pianta. E’ buona pratica pacciamare la zona intorno al fusto dell’alberello, con dello sfalcio di erba, della paglia o del cippato di ramaglie, in modo da mantenere quella zona più umida e più libera dalle infestanti.
Le irrigazioni saranno necessarie solo i primi anni, durante i periodi siccitosi o le estati molto calde. Una volta che le radici si saranno sviluppate la pianta non avrà più bisogno di irrigazioni supplementari, oltre a quelle delle normali piogge.
Non sono necessarie neppure le concimazioni, ma se proprio vogliamo avere una pianta rigogliosa e ottenere una maggiore fruttificazione, possiamo interrare in autunno, sotto il cerchio disegnato dalla chioma ormai spoglia, dello stallatico o della pollina.
Il giuggiolo può benissimo fare a meno anche delle nostre potature, basterà togliere le parti secche e sfoltire dove vediamo che i rami tendono troppo a sovrapporsi. Nel caso volessimo coltivare dei giuggioli ai fini commerciali e avere una maggiore produzione di giuggiole, daremo all’albero una forma a vaso.
Non soffre di malattie particolari ed è poco soggetto agli attacchi parassitari. In genere si mantiene da solo in buona salute.
IMPIEGO
Il primo motivo per cui dovremmo piantare un giuggiolo, se abbiamo lo spazio, è per la bellezza della sua chioma. Il tronco contorto e rugoso contrasta con la chioma leggera, composta da mille e mille foglioline piccole e lucide.
Ma ovviamente sono i frutti il motivo che spinge molti appassionati a coltivarlo. Assomigliano a delle olive, verde chiaro quando sono acerbe, marrone e dure quando sono mature pronte per essere mangiate fresche, color ruggine e grinzose, quando maturissime, vogliamo usarle per la preparazione di sciroppi, marmellate e confetture. Più le lasceremo maturare più diventeranno dolci e rinsecchite.
La polpa è ricca di vitamine, soprattutto la C. Un etto di giuggiole contiene 40 mg di vitamina C e circa 120 calorie. Ha proprietà emollienti ed espettoranti, con i frutti si possono fare decotti e in cosmesi creme per idratare la pelle.
STORIA
La pianta del giuggiolo è originaria della Cina, dove gode di una popolarità maggiore che in Europa. Là è molto coltivato perché il sapore delle giuggiole si presta bene alla preparazione dei piatti cinesi dal tipico sapore agrodolce.
Sembra siano stati i romani a importare il giuggiolo in Italia. Era per loro simbolo di virtù e prudenza, per questo ne usavano i rami per ornare i templi di Minerva dea della sapienza e, guarda caso, della prudenza.
Il giuggiolo ha conosciuto nel tempo momenti di gloria. Gli Egizi e i Fenici ricavavano dalle giuggiole una specie di vino. E nel Rinascimento era un frutto molto utilizzato nelle cucine delle corti italiane. I Gonzaga, signori di Mantova, amanti della cucina agrodolce ne erano talmente ghiotti che avevo avviato una vera e propria coltivazione di giuggioli.
Il declino del giuggiolo è iniziato con gli anni ’50, quando tutto quello che apparteneva al passato e alla cultura contadina, sembrava non adatto ai nuovi modelli di vita. Fortunatamente oggi è stato riscoperto, sia per il suo valore ornamentale, che per i frutti nuovamente apprezzati in cucina anche da grandi cuochi, che li impiegano per il loro sapore particolare.
E’ molto diffuso in Veneto, dove ancora oggi ad Arquà Petrarca, in provincia di Padova, ogni anno viene dedicata al giuggiolo una festa, nella prima e seconda domenica di ottobre. La giuggiola dei Colli Euganei è considerata prodotto agroalimentare tradizionale e come tale inserita nell’elenco speciale elaborato dal Ministero dell’agricoltura e delle foreste. In questi luoghi viene prodotto e commercializzato il famosissimo ‘Brodo di Giuggiole’.
CURIOSITA’
Il brodo di giuggiole, dunque, non è solo un modo di dire per indicare uno stato di particolare benessere e godimento, ma anche una ricetta che ciascuno di noi può provare a realizzare.
“Andare in brodo di giuggiole è un detto così conosciuto da essere utilizzato anche oltreoceano, ma la sua origine risale al 1611, quando il Vocabolario della Crusca ne registra l’espressione col significato di “toccare il cielo con un dito” e “essere fuori di sé per la contentezza”.
E’ probabile che tale frase tragga origine dalla dolcezza dei frutti, perché il giuggiolo sarà pure un frutto povero, ma come spesso succede ai poveri, conosce meglio la via per indicarci il Paradiso. Questa volta del palato.
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